giovedì 7 marzo 2013

IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’


Come vi abbiamo già annunciato, vi proponiamo l'articolo che tratta del disturbo borderline della personalità a cura della Dott.sa E. Salustri.


IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITA’

“A volte l’unico modo per rimanere sani di mente è diventare un po’ pazzi”
Susanna Kaysen, “La ragazza interrotta”


Nella nostra società si sente spesso parlare del disturbo borderline di personalità. Da molti viene definito come il disturbo del millennio, lo specchio oscuro della nostra società.

Le caratteristiche del disturbo sono molte, possiamo trovare l’individuo avente la costante paura dell’abbandono, quello che ha delle relazioni instabili caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione, chi abusa di sostanze per non pensare al vuoto che ha dentro causato dal non riuscire a scindere la realtà dalla finzione.

Se dovessimo dare una prima definizione, tornando indietro nel tempo, dobbiamo necessariamente citare Dante e, precisamente, alcuni versi del V canto dell’Inferno:

Bufera infernal che mai non resta,
Mena gli spirti con la sua rapina:
Voltando e percuotendo li molesta, (….)

Di qua, di là, di giù, di su li mena;
Nulla speranza li conforta mai
Non che di posa ma di minor pena

Varie correnti di pensiero ruotano intorno alla causa della comparsa del disturbo borderline di personalità. 

Sono molti i teorici e gli psicanalisti sostenitori della teoria secondo la quale il disturbo dipenda da un conflitto generatosi nei primi anni di vita, ma vi sono anche coloro i quali sono convinti che alla base ci sia un deficit. 
Il ruolo del deficit influisce definitivamente nelle capacità metacognitive, cioè nelle capacità di distinguere apparenza e realtà, di pensare attraverso il  proprio pensiero, di formarsi una "teoria della mente" come viene definita da Fonagy.

Altre  teorie  psicoanalitiche sostengono  invece  che  il  disturbo centrale della personalità borderline è derivato non da un conflitto, ma da un deficit nella rappresentazione interna  della  persona che fornisce le cure, causato da gravi incapacità di tale persona, generalmente la madre, a sintonizzarsi con i bisogni di sostegno e protezione del bambino. A causa del deficit, il paziente non ha la capacità di richiamare alla mente, nei momenti di stress emotivo, immagini tranquillizzanti: ne deriva una estrema vulnerabilità alle esperienze dolorose di paura, vergogna, solitudine e abbandono (Adler, 1985). 
Esistono poi teorie psicoanalitiche che sembrano porsi in una posizione di equilibrio fra le opposte tesi del conflitto e del deficit. Queste teorie implicano un deficit nell’accoglimento, da parte della madre, dei bisogni di autonomia ed individuazione che il bambino manifesta intorno ai due anni, ma anche un conseguente conflitto fra bisogni di autonomia e bisogni di protezione (Masterson, 1972). 

Questo processo unitario è noto come disorganizzazione dell’attaccamento. 
Sono molti gli articoli che parlano delle varie teorie eziopatogenetiche sulla nascita del disturbo, mentre noi, con questo articolo, vogliamo approfondire solamente un aspetto fondamentale: la famiglia.

È importante capire come un disturbo che interessa una vasta percentuale di popolazione (circa l’8 %) possa, in particolar modo, derivare dal nucleo familiare in cui l’individuo si forma.

La famiglia è sempre stata il punto cardine per la crescita fisica e psichica di qualsiasi bambino, il porto sicuro nel quale tornare ogni volta che sorge qualche problema, che si cerca un consiglio o un supporto.
Ma come evolve la crescita di un individuo nel momento in cui, all’interno della famiglia, ci sono dei problemi?

Si può valutare come la famiglia di origine dei pazienti con DBP contribuisca all’insorgenza del disturbo nel figlio. Il bambino tende ad assimilare, a fare propri i problemi che ci sono nel suo nucleo familiare e a cercare di introiettare tutto al suo interno.

Se la madre durante il periodo di formazione psichica del bambino si definisce come unico punto importante della sua vita, di conseguenza, una volta adulto, l’individuo avrà dei sentimenti contrastanti al suo interno: da una parte vorrebbe lasciare il nucleo familiare e crescere autonomamente, dall’altra parte si considererà come una persona cattiva e traditrice, vivendo con la costante paura di aver abbandonato la madre e di essere abbandonato a sua volta da qualsiasi altra persona che incontrerà durante la sua crescita.
Per dare qualche delucidazione possiamo dire che nelle famiglie litigiose, determinate da angoscia persecutoria, vissuta da tutti i membri e prevalentemente l’uno contro gli altri, si generano difficoltà di comunicazione anche verso l’esterno. Queste difficoltà influiscono talmente tanto nell’individuo al punto di essere caratterizzato da un iposviluppo di coerenze ed incoerenze relazionali, depressione e tutti quei sintomi che possono sfociare in disturbi di alcolismo.

Va detto che lo sviluppo del bambino borderline, in questo caso come in molti altri, avviene all’interno della famiglia appena descritta che è  formata da uno o entrambi i genitori con disturbo borderline di personalità.
Per fare un altro esempio possiamo prendere in considerazione la famiglia disorganizzata, sempre con genitori aventi personalità borderline, nella quale è presente la rottura, a vari livelli, dei legami familiari e forme di relazione instabili ed alternati.

L’individuo che si sviluppa all’interno di tale nucleo presenterà, sicuramente, il disturbo borderline.

Si può dunque affermare che la famiglia influenza in maniera decisiva il manifestarsi del disturbo e che risulta essere un caso raro la presenza di un individuo con disturbo borderline all’interno di un nucleo familiare sano.
Studi nelle famiglie con DBP mostrano che i parenti di primo grado, come fratelli, genitori e figli delle persone trattata con DBP, hanno una probabilità dieci volte maggiore rispetto alle famiglie affette da schizofrenia o disturbo bipolare.

Tutto ciò sembra quindi convalidare la tesi secondo la quale la famiglia di appartenenza sia “predisposta” anche se il disturbo non è ereditabile.
Infatti lo sviluppo del disturbo dipende anche dal rapporto che l’individuo ha con la società e dai traumi infantili (abusi sessuali e/o fisici).
Per concludere preciso a sottolineare che il DBP non è ereditabile quindi può essere curato sia dal terapista che dalla famiglia.
In particolare quest’ultima potrebbe agire secondo un’azione preventiva cercando di non aumentare lo sviluppo del disturbo.
Prima di tutto è necessario, da parte dei genitori, prestare attenzione alle problematiche del bambino che inizia a crescere.
Confrontarsi con altri genitori sui problemi dei propri figli può essere un aiuto fondamentale.

Invogliare il proprio figlio a iniziare autonomamente la propria vita è altrettanto utile a fargli perdere la paura di abbandonare il nucleo familiare.
Proprio la rassicurazione sull’impossibilità di essere abbandonati è l’ultimo, ma non meno importante, fattore per aiutare l’individuo.
Ripetere costantemente che non sarà mai solo è un grandissimo aiuto che lo spingerà ad iniziare il suo percorso da “adulto” in un clima sano.
È infine importantissimo dire che non bisogna avere timore, paura o vergona ma è necessario rivolgersi ad uno specialista nel momento in cui si possano avvertire strani sintomi nel proprio figlio.

Dott.sa Eleonora Salustri


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